SPECIALE IRAQ – Benvenuti in Kurdistan

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Arriviamo ad Erbil alle 4 di mattina , io e Marco Bova, il filmaker.Al controllo passaporti veniamo smistati velocemente e quando è il nostro turno, il documentoitaliano cambia l’umore dei poliziotti “Ah italiano!!!” e ci stampa il visto, “è per 30 giorni” dice, e ci saluta “Benvenuti in Kudistan!”.
Fuori ci aspetta Terry Dutto di Focsiv, che scopriremo essere una fonte inesauribile di notizie e storie.
Sono giorni intensi, fatti di incontri, di colori, di odori e di storie personali.
La cosa che ci colpisce da subito è la chiarezza con cui chi vive in Kurdistan ci descrive la situazione geopolitica dell’area, cosa è la guerra al Daesh e cosa si aspettano per il dopo.
La guerra a Mosul e Hawija non è lontana. Ogni giorno da quelle aree scappano circa 1500 persone che fanno ad ingrossare dei campi per i rifugiati, già stracolmi.
Qualcuno ci dice “vedrete cosa succede dopo la presa di Mosul…..”.
Ma le paure di molti riguardano le etnie presenti sul territorio, le “aree contese” tra Iraq e la regione del Kurdistan, che a sua volta internamente è divisa tra i seguaci di Barzani, Pdk, e di Talabani del Puk.

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Ago della bilancia forse sarà Kirkuk, città che ha una produzione di petrolio pari ad un decimo della produzione totale dell’Iraq, che, per inciso, è la regione che potrà estarre l’oro nero per altri 300 anni di al contrario di altri paesi le cui riserve stanno per esaurirsi.
Per ora la regione vende una parte del greggio alla Turchia, permettendole, cosa eccezionale e mai accaduta, di entrare nel suo territorio per bombardare le postazioni del Pkk, partito del i lavoratori del Kurdistan, che minaccia il governo di Ankara. In questo momento,inoltre, c’è battaglia tra le fazioni di Barzani e Talabani (che “comanda sull’area di Kirkuk) che accusa l’avversario di voler vendere il petrolio all’Iran.
Insomma un post Daesh con molte incognite per un’area che con Saddam prima, e nel dopo, ha vissuto momenti tragici.
D’altra parte esiste un proverbio islamico che recita “Nel mondo ci sono tre calamità: le locuste, i topi e i curdi”.
E questa sensazione di pericolo prossimo futuro lo si registra ovunque A Erbil come a Kirkuk con l’aggiunta delle aree cristiana come Qaraqosh dove incontriamo le milizie sciite, arrivate dalla vicina Mosul.
Il volto del nostro accompagnatore, curdo, sbianca. La sola idea che le milizie potessero capire di quale etnia fosse gli ha tolto il respiro. E una delle persone intervistate ci ha detto “ Cosa dobbiamo aspettarci per il dopo? Un altro ISIS contro di noi?”.
Ecco questa è la paura più profonda di tutti: adesso uniti contro il terrorismo islamico e dopo? Di nuovo genocidii, gas nervini, guerre etniche?
Chi teme di più il futuro sono le migliaia di rifugiati che gravitano intorno alla città di Erbil. Sono circa un milione di cui oltre 300mila provenienti dalla Siria, il resto sono in fuga dal Daesh. Arrivano da Sinjar, l’area delle comunità yazide, o dalle città limitrofe a Kirkuk come Hawija, o da Qaraqosh, Mosul.
I campi in città sono tanti realizzati alla bene e meglio, qualcuno con i container, qualcuno in case sfitte sopra il più grande bazar della città.
Ovunque ti giri li vedi. Il più grande è a metà strada tra Qaraqosh e Erbil. E’ gestito dal governo. Gli uomini e le donne che vi arrivano vengono separati. Per i maschi si passa al setaccio la loro vita. Si teme che tra di loro ci possano essere degli infiltrati dell’Isis pronti ad attentati in città o nello stesso campo, che ha accessi molti limitati anche per le organizzazioni internazionali.
Si parla di condizioni precarie anzi disumane per molti di loro come fonti di ONG internazionali ci confermano.
Poi ci sono i campi cittadini.

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Quello più organizzato, vale a dire con container al posto di tende,ha una gestione mista del governo e di ONG come Focsiv che ha scelto da subito di occuparsi di infanzia e di mamme. Il campo, nel quartiere cristiano di Ankawa, ha 1200 “case” per 5800 abitanti di cui il 30% circa è composto da piccoli tra gli o e i 5 anni. Come dice Terry Dutto,di Focsiv, molti sono nati qui in quella che, per ora, è la loro casa.
Qui c’è un asilo, una scuola, si fanno corsi per le donne. Tutto cerca di raccontare una normalità virtuale. Le strade sono pozzanghere anche in un giorno di sole. Il freddo penetra tra le lamiere come il caldo. Ma meglio questo dei campi yazidi fatti di baracche di pezzi di legno o di vecchi pollai in disuso, dove i bambini giocano nelle stesse pozzanghere con le anatre a cui danno da mangiare. Gli yazidi sono la nicchia nella nicchia. Se i cristiani sono una minoranza loro lo sono ancora di più. E dovunque andiamo la prima richiesta è il cibo. In uno dei campi una giovane donna esce dalla sua stanzetta, forse per capire chi siamo, e ci sviene davanti agli occhi. D’altra parte il loro pranzo è spesso una cipolla ed una mela.
Tra questi disperati Terry arriva e porta cibo e aiuto per i bambini.

Come spesso ci ripete Focsiv è “il pezzo mancante” nel sistema internazionale di aiuti che lavorano sulle quantità ma non riescono a sopperire alle piccole necessità. Terry fa un altro esempio per farci capire :”è come se dessi pacchi di riso ma niente sale per condirlo”. Ecco loro lavorano su questo e sulle necessità dei bambini.
Ma le necessità sono svariate come quelle del ragazzo yazida di 18 anni che ne dimostra 10 ed ha una malattie di ritardo di sviluppo ed ha bisogno di un medicinale specifico ogni 15 giorni ma che nessuna organizzazione internazionale gli procura.Per gli yazidi meglio questo strazio che tornare a Sinjar, liberata oltre un anno fa “L’Isis è pericoloso guarda cosa stanno facendo in Europa noi non ci fidiamo a tornare nella nostra città. E’ troppo pericoloso”.
E lo è ancor di più per le donne di questa etnia, legata a Zorosatro e alla natura.

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Le donne hanno combattuto l’Isis e per un musulmano dello Stato islamico è un disonore essere ucciso, o solo colpito, da una di loro. Una maledizione che gli impedirà di incontrare il profeta.
Eppure quei bambini, scalzi, denutriti, non hanno mai perso il sorriso.
La guerra ha tanti volti anche quella di una bimba, vestita di rosso, che ti chiede di poter fare una foto con il tuo telefonino e ti sorride con gli occhi in cui annega la nostra tristezza.

(continua)

(pubblicato su www.malitali.it e www.malitalia.globalist.it)