9 maggio 1978. Sono passati 32 anni ma sembra ieri. È la data della morte di Peppino Impastato. Aveva 30 anni, era candidato al Comune ma soprattutto si era ribellato alla mafia, alla sua famiglia, a suo padre. Non aveva girato la faccia e aveva guardato in faccia criminali come Badalamenti. Li aveva guardati e sfidati con la parola,con la sua radio, con le sue attività, con il suo “essere” e “vivere” lì a cento passi dal boss.
Cento passi per gridare che la vita non è solo mafia. Cento passi per ribellarsi ad un codice non scritto ma rispettato, senza fiatare, da tutti. Cento passi per dimostrare ad altri ragazzi che si può scegliere diversamente. Cento passi per raccontare, via etere, agli altri cosa succede nel tuo paese. Cento passi per capire che morirai per le tue idee, ma non indietreggiare. Cento passi da percorrere ogni giorno a testa alta. Cento passi per sfidare il boss e i suoi “picciotti”. Cento passi per una mostra fotografica che racconta la devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi. Cento passi per essere dilaniati da una carica di tritolo.
…nessuno ci vendicherà:la nostra pena non ha testimoni diceva Peppino in una sua poesia. Ma la sua morte ha raccolto, negli anni, tanti testimoni che non hanno creduto alle bugie, ai depistaggi, alle falsificazioni sulla sua morte. Peppino, la sua vita (quella di suo fratello Giovanni e di mamma Felicia) sono diventati una bandiera per chi vuole lottare contro il crimine organizzato. Per chi dice “non bacio le mani” e sceglie l’onestà, anche quando ti sembra inutile.
Nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio,
negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare,
aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato,
si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore.
(Dalla canzone I Cento Passi dei Modena City Ramblers)