Come decrescere felici

 

 

Robert Kennedy, nel 1968, diceva”Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.” 

E chissà se al CNEL (Comitato Nazionale Economia e Lavoro) hanno pensato a queste parole presentando il progetto su “benessere equo e sostenibile” e quando, insieme all’ISTAT, hanno individuato i 12  indicatori del benessere e cioè: ambiente, salute, benessere economico, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, relazioni sociali, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ricerca e innovazione, qualità dei servizi, politica e istituzioni.

Ma possiamo pensare ad una nuova economia? Usciremo da questa crisi e come? E quanto dobbiamo crescere per vedere la luce?

Forse c’è un modo nuovo di leggere questa crisi e c’è anche una ricetta nuova, alternativa che farà molto discutere: la decrescita felice.

Cosa vuol dire ? Semplicemente “meno e meglio” come il titolo del libro di Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice.

Quindi Professore meno è meglio?

Certamente si. Questa non è una crisi finanziaria ma un crisi economico produttiva. Oggi produciamo più di quello che consumiamo e negli anni ci siamo sempre più indebitati perché  c’è stata una spinta ad acquistare e questo per far fronte ad un’offerta maggiore della domanda. L’utilizzo di tecnologie sempre più performanti ha spinto sempre più verso il taglio del lavoro e l’aumento della produzione. Ma a cosa serve tutto ciò se poi non c’è richiesta? E ogni politica che parla di crescita non fa che aggravare questa situazione

E quindi cosa dovremmo fare? 

Liberare risorse per riacquistare denaro. Faccio un esempio in Italia, per riscaldare le nostre case, consumiamo 300 kwh per metro quadrato. In Germania viene data l’abitabilità sole se non si superano i 70 kwh anno per m.quadrato. In sintesi il rapporto, in media, è 15 kwh7anno in Germania e 200 in Italia. Gli sprechi energetici di edifici mal coibentati fanno crescere il pil ma comportano un peggioramento della qualità della vita perché fanno aumentare le emissioni di CO2 e le spese per l’acquisto di fonti fossili. Gli unici a trarne vantaggio sono i bilanci delle aziende energetiche. E i partiti politici.

 Ci può spiegare meglio….

Se nei paesi industrializzati la quota della produzione agricola di sussistenza fosse rimasta significativa, si sarebbe valorizzata la biodiversità e la fertilità dei suoli, ma le vendite si sarebbero limitate alle eccedenze, il pil sarebbe cresciuto di meno e la base imponibile sarebbe stata molto inferiore rispetto a quella di un’agricoltura basata sulla monocultura e finalizzata alla vendita. La crescita del pil comporta la crescita degli introiti fiscali, di cui i partiti attraverso le pubbliche amministrazioni definiscono l’entità, stabiliscono i contributi percentuali a carico delle differenti classi di reddito e decidono gli usi finali (una quota significativa dei quali destinata agli emolumenti dei propri rappresentanti nelle pubbliche amministrazioni e nelle aziende da esse partecipate). Pertanto la crescita del pil è un interesse specifico degli imprenditori, dei commercianti, dei professionisti, dei partiti e delle aziende a cui i partiti commissionano i lavori pubblici, delle quali spesso sono i principali azionisti, direttamente (cooperative) o indirettamente (banche, ex municipalizzate trasformate in società private a prevalente capitale pubblico).

 E cosa dice dei rifiuti?

Che andrebbero ridotti e questo si può fare migliorando l’utilizzo delle risorse. Lo sa che nell’Oceano pacifico galleggia tanta plastica grande quanto il continente americano?

 Un consiglio?

Essere meno bulimici. Negli ultimi anni abbiamo fagocitato qualsiasi cosa ci venisse venduta. Abbiamo vissuto per la quantità. Oggi  è tempo della qualità. E’ come mangiare di meno e più variato e quindi con più gusto. E dobbiamo ridurre l’impronta tecnologica. Tutto questo non vuol dire tornare indietro ma solo ottimizzare le nostre risorse.

 Questa crisi potrebbe quindi essere un’opportunità per cambiare stili di vita, gestione delle risorse. E’ un  cambio culturale come lo fu il passaggio dall’economie della campagna a quella delle industrie. Forse lo schock di questa crisi globale potrebbe invece essere una svolta.

 (pubblicato su www.malitalia.it e su www.lindro.it)