Ammalarsi, essere considerati untori, l’ospedale e l’attesa dei tamponi per sapere se l’incubo è finito

Vivere il coronavirus: le storie di chi lo ha battuto in solitudine lontano dalla famiglia.

Ospedale di Salerno: il dottor Pierdomenico Di Benedetto, medico chirurgo ed ecointerventista, nato a Polla, negli scorsi mesi ha seguito i pazienti a casa, ha fatto le guardie mediche e il 2 aprile scorso è risultato positivo al Covid-19. È ancora in ospedale: ha fatto due tamponi tutti e due negativi adesso uscirà dall’isolamento. Uscire da quella stanza che condivide,oramai da giorni, con un altro malato, ancora positivo. La loro vita è stata scadenzata dalle visite dei medici e degli infermieri che entrano bardati da capo a piedi “ si muovono e ti sembra di sentire il rumore della carta dei regali mentri li apri”.

Il contagio

Lui si è contagiato facendo le visite ai suoi pazienti ma lo rifarebbe perché “ noi medici dobbiamo curare le persone, abbiamo nelle nostre mani le loro vite”. Il virus si manifesta in maniera diversa da individuo ad individuo, in molti è asintomatica. Quando esplode è dirompente e porta alla famosa tempesta citochimica di cui abbiamo sentiamo parlare e che porta alla polmonite bilaterale e alle microtrombosi negli alveoli polmonari. Bisogna intervenire subito con farmaci antitrombotici, eparina, o anti infiammatori o cortisonici, per chi li può sopportare. Il dottor Di Benedetto dice “ da questa malattia devi guarire tu” perché ti sfibra, mina il sistema muscolare, vuoi solo stare a letto, ti porta a gettare la spugna. “Io ho avuto paura ma ho anche pensato che dovevo vivere, ho una famiglia, dei figli”. Ma si può guarire come il signore anziano intubato per 20 giorni e che ne è uscito.

Il dottor Di Benedetto parla del ruolo degli infermieri, degli ausiliari “ sono loro che ti toccano veramente, che puliscono. Sono loro che all’una di notte ti portano la cioccolata calda, che ti curano, ti coccolano”. Loro di cui si vedono solo gli occhi. Spesso prima di iniziare il turno si fanno vedere nella zona filtro senza tuta così li puoi guardare e poi cerchi di riconoscerli dagli occhi che ti si avvicinano. La sua riflessione però, in attesa di oltrepassare la zona filtro, di togliersi gli indumenti che lo accompagnano da giorni, è sulla nostra sanità messa a dura prova da questo tsunami. Soprattutto la medicina del territorio che ha mostrato, in alcune zone d’Italia, tutti i suoi limiti. Bisogna rivedere l’intero servizio sanitario, la regionalizzazione della sanità perché “non deve soffrire nessuno e bisogna proteggere gli operatori sanitari”. Sono morti 127 medici e 30 infermieri dall’inizio dell’emergenza! 

Il racconto della farmacista

Perugia: Silvia Pagliacci, farmacista a Valfabbrica, piccolo centro di 3400 anime (lei è la presidente dellAssociazione delle farmacie rurali-Sunivar Federfarma), il 9 marzo inzia ad avere la febbre. Si mette in autoisolamente ma alla fine, tra dolori mialgici e perdita dell’olfatto, chiama il 118 e va in  ospedale appena in tempo perché la polmonite era già attiva. Il focolaio in Umbria si è sviluppato da Orvieto anche se oggi si può dire che Perugia è una città covid free. I primi giorni in ospedale sono brutti, sua sorella intanto viene intubata, ma al quarto giorno il fisico di Silvia reagisce. In stanza lei e un uomo, di 51 anni e in condizioni più gravi delle sue, ma nessun impaccio in questo caso. La situazione è straordinaria e non si fa caso alle piccole cose che in altri momenti potrebbero destare imbarazzi. Silvia dice “ è brutto essere considerati un untore ma in ospedale mi sono sentita curata, accudita, accolta. Si entra in una situazione sconosciuta per tutti”. I medici, il personale ospedaliero si sono prodigati. Lei è stata curata con la terapia con ossigeno e con la idrossiclorochina e  anche con autoretrovirale, poi sospeso.

“I medici si sono presi delle responsabilità enormi decidendo quale terapie usare. Li ho visti studiare di notte, ascoltare con umiltà tutto quello che noi pazienti raccontavamo. Io per esempio da un mio collega di Sanremo ho saputo della fisioterapia respiratoria e ne ho parlato con loro”. Tutti ci hanno messo cuore e passione come gli infermieri, soprannominati Gostbuster per l’abbigliamento da cacciatori di fantasmi sotto le luci al neon del reparto. Entravano e subito domandavano come era andata la notte. Silvia racconta del rispetto e della condivisione tra pazienti e dei piccoli sogni da esaudire appena usciti: una signora, gioiosa nonostante la malattia, che argomentava sul suo prosciutto, umbro doc! Silvia fuori ha sua figlia e il suo compagno, chiusi in casa, che soli non sono però: i vicini fanno a gara per portare loro la spesa o un piatto pronto lasciati in giardino a distanza di sicurezza!

Molti di noi usciranno migliorati da questa situazione

Questo virus, insidioso, si batte e ci ha dato la possibilità di misurare esattamente cosa va o non va nel nostro sistema sanitario ed ha anche contribuito ad una riflessione dalla quale molti usciranno migliorati, speriamo la maggioranza, ed altri, forse, vedranno consolidare i propri egoismi.

(pubblicato su Tiscalinews il 19 aprile 2020)

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