Paisan blues: viaggio in Italia. Fabio Rieti, i murales e la celebrazione della città

Mi sono lasciata l’afa della città alle spalle e sono andata in montagna, in mezzo al verde. A Collelongo piccolo borgo Abruzzo al limitare del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Qui tutto ha un’altra dimensione. Poco più di mille abitanti, tutti si conoscono, si salutano e ti salutano anche se non ti conoscono. Al bar si discute di politica, di sport e della festa del paese.

Qui dal 1988 ad anni alterni viene a rifugiarsi un pittore, Fabio Rieti, conosciuto,nel mondo, soprattutto per i suoi murales.
Rieti nasce a Roma nel 1925
e poco dopo i genitori, padre compositore e madre appassionata d’arte, lo portano in Francia. Torna in Italia tra i 5 e 13 anni. Poi di nuovo in Francia dopo le leggi razziali e da lì, dopo l’arrivo dei tedeschi a Parigi, negli Stati Uniti. Qui Fabio Rieti cresce , si arruola per poi tornare in Europa e stabilirsi a Parigi, nel 1956.
“La pittura è qualcosa che nasce con te. Tutti i bambini scarabocchiano qualcosa e poi per me l’arte è stato qualcosa con cui sono cresciuto… E poi sa la pittura è l’arte dei pigri. In America ho provato a studiare architettura, a Berkeley, ma era troppo difficile e così ho lasciato stare. Dipingere è più facile anche di scrivere. Ho scritto anche due romanzi, due storie d’amore, ma nello scrivere c’è un rapporto fisico con la carta e la penna molto più faticoso che con la pittura che è dolce, docile, appetitosa”.

Appoggiato sulla sedia, il bastone tra le mani, guarda, premuroso ma anche severo, la figlia Leonor che, sulla scala, sta restaurando uno dei suoi primi lavori qui a Collelongo. Parla di emigrazione, un uomo con la valigia e i 5 continenti in cui tanti abruzzesi, dal primo del novecento in poi, hanno cercato un futuro, una vita migliore. Questa era una terra povera, quella dei “cafoni” di Ignazio Silone.Terra difficile, aspra.

E non sembra guardando, oggi con il sole, questo paesino, pulito, ordinato e con tante facciate dipinte proprio da Rieti che ritiene i murales “un atto politico. Un proclama. Un qualcosa tra pubblicità e pittura. I murales non sono un quadro e sono destinati ai passanti e non agli spettatori, ai visitatori di un museo. Il concetto del murales è cambiato nel tempo. Diciamo che oggi noi viviamo la città come un grande appartamento. Soprattutto nelle periferie. E come all’interno delle nostre case ci piace che le mura siano abbellite con disegni, ritratti… Il murales è una celebrazione della città”.

Con Fabio Rieti si parlerebbero delle ore: di Sabaudia, di Elsa Morante, di Moravia e Dacia Maraini. Della sua visione delle città e della loro esplosione demografica. Del concetto di “urbs” e di come oggi abbiamo bisogno di girare nella città e poter soddisfare la nostra necessità di immagine visiva. La sera la bar, davanti all’ennesima birra alla faccia dei suoi 89 anni, siamo noi i primi ad andare a dormire. Lui rimane ancora a fare due chiacchiere con alcuni avventori, due maglie sulle spalle perché sente un po’ di fresco. Tutto sotto gli occhi vigili della figlia Leonor artista come lui e che decisamente non vive della luce riflessa del padre.