Benvenuti in Kurdistan 3: pronti ad attaccare Mosul Ovest

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La notizia corre veloce sui siti, almeno quelli che si occupano di politica internazionale. Al Baghdadi, il leader del Daesh, avrebbe lasciato Mosul per riparare forse a Tal Afar o comunque nelle vicinanze del confine iracheno-siriano. La sciando così il “cuore” della battaglia e “scappando” di fronte alla promessa e imminente (alcune fonti ci dicono “questione di giorni”) battaglia per Mosul ovest dove, secondo le stime, abitano ancora 750mila persone. Sarà una battaglia lunga a detta di tutti. Ci vorranno mesi per l’effettiva liberazione.
Intanto il Primo Ministro iracheno, Al Abadi, in un’intervista a France 24, ha dichiarato che Al Baghdadi “è al momento isolato. Noi monitoriamo i suoi movimenti anche se le comunicazioni con i suoi sono quasi nulle”. Non ha voluto però dire dove sia e non ha voluto rilasciare commenti alla notizia che sia a Tal Afar, la città a nord di Mosul, ultima roccaforte , in terreno iracheno, dei takfiri (ndr: secondo la definizione più recente di Robert Baer “ La missione dei takfiri è di ricreare il Califfato in accordo ad un’interpretazione letterale del Corano”). Ma le ultime notizie che giungono dal Kurdistan, da fonti non ufficiali, dicono che è stato bombardato il nascondiglio di Al Baghdadi ma non si spingono a dire dove e a confermare il fatto che lui sia rimasto ferito (notizia trapelata da fonte sciita).
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Quindi sembra tutto pronto per l’ultimo attacco a Mosul Ovest. Una battaglia che dovrà essere combattuta “casa per casa”, come dicono alcuni osservatori sul campo, un combattimento “urbano” puro non senza incognite. Quanta parte della città è con il Daesh? Quali le zone a maggiore presenza terroristica? Si inizierà a capire nelle prossime settimane.

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Intanto i Peshmerga si sono arroccati su quella che loro definiscono “Kurdish defense line”, cioè entro quella linea di confine con l’Iraq che si è molto modificata dal riconoscimento, nel 2008. La guerra al Daesh per i curdi ha significato riappropriarsi di aree curde, ma non sotto il governo della Regione autonoma, e si sono spinti anche un po’ più in là (vedasi la regione di Sinjar abitata in gran parte dalla comunità yazida,martoriata dai terroristi islamici, e che i curdi hanno difeso).
I curdi a questo appunto attendono e non saranno presenti nella battaglia di Mosul ( anche se i Peshmerga vengono addestrati dalle forze della coalizione proprio alla guerriglia urbana) perché, sempre come confermano le fonti locali, “non vogliono sprecare risorse umane e militari in vista della liberazione dal Daesh che aprirà una “trattativa” con il governo iracheno per i “territori contesi” e potrebbe non essere una passeggiata”. Quindi braccia conserte a guardare cosa succede. Forti anche di una distribuzione, nel proprio territorio, di quello che sarà la vera merce di scambio: il petrolio.

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Se si leggono le mappe si nota che sul territorio del Kurdistan c’è il maggior numero di siti di estrazione (di gas e petrolio). Ci sono 3 raffinerie contro le 4 del resto dell’Iraq, il potenziale estrattivo era stimato, nel 2014, in 45 miliardi di barili secondo solo alla Libia, che ne vantava 48.
Un tesoro che interessa molti, oltre ai curdi, da Gazprom a American Mobil, Chevron e alla Total francese che nel 2012 avevano stretto accordi con il KRG (Kurdistan Regional Governament). Inoltre la riserva naturale di gas del Kurdistan potrebbe essere una delle fonti per il progetto della pipeline “Nabucco” che lo farebbe arrivare, passando per la Turchia, sino in Germania.
Si aspetta la fine del Daesh e si preparano gli accordi futuri.
Accordi che dovranno anche tener conto dei due uomini forti del Kurdistan: Barzani che detiene il potere a Nord e Talabani che lo gestisce per il Sud. Due famiglie storiche che da dodici anni si dividono risorse, affari e territorio.
Alla famiglia Barzani per esempio appartiene la compagnia telefonica Korek e a Talabani invece quella denominata Asia.
C’ è in atto uno scontro per la vendita del petrolio: alla Turchia o all’Iran? E adesso tutto diventa delicato anche per la posizione che sta prendendo il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. L’attacco all’Iran, il muslim ban che il primo Ministro iracheno ha commentato così “Nessun paese ha il diritto di umiliarne altri”.

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In tutto questo è sempre più strategica l’area della diga di Mosul, a sud-est di Tal Afar e a 15 kilometri dal fronte. Una sorta di cerniera, inoltre, tra i militari iracheni e quelli curdi, presenti nell’area e per ora alleati nella guerra al comune nemico.
La diga è strategica perché la gestione dell’acqua, come in tutti i paesi e soprattutto quelli in guerra, è determinante per le popolazioni circostanti. E’ strategica perché i terroristi del Daesh potrebbero decidere di farla saltare in aria, come ultima e possibile azione, allagando e portando via Mosul e tutta la valle a sud. Anche se questa è un’ipotesi molto lontana. Sempre fonti e osservatori locali confermano che la possibilità è infondata: per distruggerla servirebbe un armamento nucleare. L’unico problema potrebbe essere un cedimento strutturale ( la diga infatti è costruita su tratti rocciosi con strati di gessi e calcari,che danno luogo a fenomeni di carsismo e vicino a zone sismiche), da molte parti, soprattutto da esperti iracheni,annunciato a breve e che pare scongiurato dai lavori di consolidamento realizzati ad oggi. Ed è strategica perché è un’opera importante nell’economia locale e delle imprese che lavorano alla ristrutturazione.
È strategica per la presenza dei militari italiani, circa 500 bersaglieri della Task Force Praesidium, che, come dice il Generale Francesco Maria Ceravolo, Comandante dell’Italian National Contingent Command Land in Iraq “Sono fondamentali per il supporto al governo iracheno, per la messa in sicurezza della struttura e degli operai che ci lavorano che non sono solo italiani ma anche di altri paesi oltre che locali”.
Prima Parthica

Prima Parthica

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Una scacchiera dove si muovono molti protagonisti e dove il Daesh partecipa ma non è detto che abbia il ruolo fondamentale o che non sia un semplice strumento.
Intanto ci sono prove di dialogo tra il Pdk di Barzani e il Puk di Talabani, dopo l’incontro dell’11 gennaio scorso, sia per fare fronte comune al terzo partito, Goran, nato da poco, e forse anche perché sentono vicina la fine del Daesh e bisogna preparare strategie comuni per la definizione dei confini con l’Iraq!

Il Capo della Sicurezza del distretto di Kirkuk ( città curda ma arabizzata con Saddam Hussein), Azad Jabary, ci dice “Appena il Daesh sarà sconfitto potremo applicare la giustizia sociale in Iraq”.
Quale? Ridare il Kurdistan ai curdi?
(pubblicato su malitalia.ie e globalist.it)